Rifiutare di svolgere il
servizio di leva è un reato, punito dall’art.14 della recente legge n.230 del
1998.
Tuttavia molti di noi hanno
scelto di commettere questo reato per affermare la propria contrarietà alla leva
obbligatoria, come forma di disobbedienza civile ad una legge anacronistica ed
ingiusta. Questa è secondo noi l’autentica obiezione di coscienza al
servizio militare, non quella del servizio civile e delle mille
associazioni che lo sfruttano. Tra noi ci sono molte persone che credono nel
volontariato e lo svolgono liberamente, senza rendersi complici della
coscrizione militare chiedendo l’ammissione al servizio civile.
Molti altri giovani scelgono
questa strada solo per non fare il servizio di leva perché le pene sono
miti e la condanna esonera dagli obblighi di leva. Nessuno
finisce veramente in carcere per questo reato: spesso la condanna viene
convertita in una pena pecuniaria, la sospensione della pena è scontata e la
“fedina penale” resta sempre pulita. In questo documento spiegheremo
perché.
Le notizie che forniamo in
questa sezione non intendono istigare nessuno a commettere il reato di rifiuto
del servizio di leva ma intendono illustrare le motivazioni ideali di chi tra
noi ha fatto questa scelta, e garantire il diritto di informazione a quanti
vogliono conoscere le nostre vicende giudiziarie. “Tutti hanno il diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione” (art.21 della Costituzione).
Questo è il testo
dell’art.14 della legge 230/1998:
“Art.
14.
1. L'obiettore ammesso al
servizio civile che rifiuta di prestarlo e' punito con la reclusione da sei mesi
a due anni.
2. Alla stessa pena soggiace
chi, non avendo chiesto o non avendo ottenuto l'ammissione al servizio civile,
rifiuta di prestare il servizio militare, prima o dopo averlo assunto, adducendo
motivi di coscienza che ostano alla prestazione del servizio militare.
3. Competente a giudicare
per i reati di cui ai commi 1 e 2 e' il pretore del luogo nel quale deve essere
svolto il servizio civile o il servizio militare.
4. La sentenza penale di
condanna per uno dei reati di cui ai commi 1 e 2 esonera dagli obblighi di leva.
5. Coloro che in tempo di
pace, adducendo motivi diversi da quelli indicati dall'articolo 1 o senza
addurre motivo alcuno, rifiutano totalmente, prima o dopo averlo assunto, la
prestazione del servizio militare di leva, sono esonerati dall'obbligo di
prestarlo quando abbiano espiato per il suddetto rifiuto la pena della
reclusione per un periodo complessivamente non inferiore alla durata del
servizio militare di leva.
6. L'imputato o il
condannato può fare domanda per essere nuovamente assegnato o ammesso al
servizio civile nei casi previsti dai commi 1 e 2, tranne nel caso in cui tale
domanda sia già stata presentata e respinta per i motivi di cui all'articolo 2.
Nei casi previsti dal comma 2, può essere fatta domanda di prestare servizio
nelle Forze armate.
7. Per la decisione sulle
domande di cui al comma 6, il termine di cui all'articolo 5, comma 1, e' ridotto
a tre mesi.
8. L'accoglimento delle
domande estingue il reato. Il tempo trascorso in stato di detenzione e'
computato in diminuzione della durata prescritta per il servizio militare o per
il servizio civile.”
Alcuni di noi hanno
rifiutato di svolgere il servizio militare, altri avevano chiesto di essere
ammessi al servizio civile ed hanno poi rifiutato quello. Non c’è nessuna
differenza di pena ma nel caso di rifiuto del servizio militare possono esserci
delle differenze a seconda delle motivazioni addotte.
Occorre distinguere tra la
pena prevista in astratto dalla legge e quella in concreto applicata nei
tribunali. In astratto l’art.14 della legge 23071998 stabilisce
così:
“1. L'obiettore ammesso al
servizio civile che rifiuta di prestarlo e' punito con la reclusione da
sei mesi a due anni.
2. Alla stessa pena soggiace
chi, non avendo chiesto o non avendo ottenuto l'ammissione al servizio civile,
rifiuta di prestare il servizio militare, prima o dopo averlo assunto, adducendo
motivi di coscienza che ostano alla prestazione del servizio militare”.
In
pratica
viene sempre dato il minimo della pena e le pene concretamente inflitte vanno
dai 2 mesi e 20 giorni fino ai 4 mesi, e variano a seconda del
Tribunale che emette la sentenza e in base al tipo di procedimento penale
seguito dal Pubblico Ministero. Se la pena, come spesso accade, è inferiore ai 3
mesi si può addirittura convertirla in una pena pecuniaria (una
specie di multa variabile dai 4 ai 9 milioni ma di solito circa 6-7) pagando la
quale si regolano tutti i conti con la giustizia.
E’ molto semplice: non ci
siamo presentati in caserma o all’ente di assegnazione. Abbiamo comunicato la
nostra decisione spedendo loro una lettera in cui spiegavamo i nostri motivi.
Nessuno ci ha cercato a casa per molti mesi e nessuno ci ha detto niente:
abbiamo continuato a vivere la nostra vita di tutti i giorni studiando,
lavorando, andando in vacanza. Qualcuno invece si è presentato di persona in
caserma o all’ente per comunicare la propria scelta: in questi casi i militari e
gli enti sfruttatori di obiettori cercano spesso di scoraggiare gli obiettori
totali e danno anche informazioni imprecise. Fornire le proprie motivazioni è
sempre importante, specialmente nel caso in cui si rifiuti il servizio militare:
in questo caso il trattamento è molto diverso a seconda dei motivi addotti. Ed è
molto importante anche fornire le proprie motivazioni contestualmente al rifiuto
del servizio.
Ciascuno ha scritto ciò che
sentiva. Qualcuno per sicurezza si è fatto assistere da un avvocato. Chi ha
rifiutato il servizio militare ha cercato di precisare che lo rifiutava per
motivi di coscienza (contrarietà all’uso personale delle armi) perché chi lo
rifiuta per motivi diversi o senza motivo ha un trattamento molto diverso. In
questi casi alcuni si sono limitati ad adattare le varie formulette suggerite
per fare la domanda da obiettori di coscienza. Uno di noi ad esempio ha
scopiazzato l’art.1 della legge 230/1998 e ha scritto: “In obbedienza alla mia
coscienza, nell'esercizio del diritto alle libertà di pensiero e di coscienza
riconosciute dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e dal Patto
Internazionale sui Diritti Civili e Politici, opponendomi all'uso delle armi,
non accetto l'arruolamento nelle Forze armate e nei Corpi armati dello Stato e
rifiuto di prestare il servizio militare di leva. Chiedo pertanto di essere
condannato ai sensi dell'art.14 comma 2 della legge 230/1998”. Già questo
sarebbe bastato, anche se poi lui ed altri hanno spiegato nei minimi dettagli le
proprie convinzioni. Chi ha rifiutato il servizio civile ha scritto che non lo
considera un modo di difendere la Patria (come invece lo descrive la legge) ma
soltanto una forma intollerabile di
lavoro obbligatorio. Non era necessario scrivere molto: l’importante era che
fosse chiaro il tipo di reato: il rifiuto definitivo di prestare
servizio.
Non è successo a nessuno di
noi, ma le conseguenze sarebbero queste: la competenza a giudicare non sarebbe
del Tribunale ordinario ma di quello militare. Pertanto, ferma restando l’entità
della pena, si applicherebbero le diverse regole della procedura penale
militare. Inoltre la sentenza di condanna per questo tipo di reato
NON comporta l’esonero dal servizio di leva, perciò anche dopo una
prima condanna l’obiettore rischia di ricevere nuovamente una cartolina
precetto, e rifiutando un’altra volta il servizio subisce un nuovo processo ed
una nuova condanna e così via finché non ha accumulato almeno 10 mesi di
condanne: l’esonero dagli obblighi di leva scatta solo allora. Gli effetti di
questa sequenza di processi e condanne sono molto più pesanti della semplice
somma delle pene. Per evitare di commettere questo reato è sufficiente che tra i
motivi addotti per il rifiuto compaia la contrarietà all’uso delle armi. Per chi
rifiuta il servizio civile non esiste questa differenza perché la domanda di
ammissione al servizio civile che aveva presentato conteneva già una
dichiarazione di contrarietà all’uso delle armi.
Sì. La pena è identica. In
ogni caso rifiutare prima di averlo iniziato potrebbe comportare in
alcuni casi un trattamento leggermente migliore o un iter più semplice nella
vicenda giudiziaria. Specialmente se si motiva la propria decisione con ragioni
di coscienza e di principio esse sono infatti molto più credibili se vengono
addotte sin dall’inizio e si mostra di avere le idee chiare. Tuttavia non esiste
una regola precisa: nulla vieta che profonde convinzioni possano maturare
durante il servizio. Comunque nella maggior parte dei casi la loro rilevanza è
molto limitata: l’importante è che non emergano motivi futili o banali.
L’avvocato almeno in una
prima fase non è indispensabile: per scrivere una lettera e rifiutare di partire
non è necessario, ma alcuni di noi che avevano qualche dubbio e qualche
perplessità hanno preferito farsi consigliare da un legale che avesse già
qualche esperienza in materia. Non sempre le sedi locali della varie LOC e AON
sono molto informate sull’obiezione totale: si tratta di associazioni che si
occupano del servizio civile e vanno benissimo per chi vuol fare quello, un po’
di meno per gli obiettori totali. In alcuni casi però le sedi locali di queste
associazioni hanno consigliato ad alcuni obiettori totali un avvocato della loro
zona. L’avvocato diventa quasi indispensabile quando arriva a casa qualche
comunicazione giudiziaria sull’inizio del procedimento penale, ma quest’ultimo
può prendere diverse strade.
La via maestra è quella del
dibattimento: un processo vero e proprio con udienze, testimoni,
pubblico e che si chiude con una vera e propria sentenza. Tuttavia questo tipo
di reato viene generalmente giudicato attraverso riti alternativi, più celeri e
molto più vantaggiosi anche per l’imputato in quanto offrono degli “sconti”
sulla pena: per questo motivo le condanne sono sempre più leggere di quanto
previsto in astratto dalla legge. Solo se l’imputato chiede di andare al
processo vero e proprio la sua pena può raggiungere i 6 mesi. La condanna
comporta l’esonero dagli obblighi di leva (tranne nel caso di chi rifiuti il
servizio militare per motivi diversi da quelli di coscienza).
Il decreto penale di
condanna è il procedimento più rapido e semplice: esso è adottato a
discrezione del Pubblico Ministero che esamina il fascicolo del reato e valuta
quale può essere la pena appropriata. Se ritiene che essa sia 3 mesi (ci si può
del resto arrivare in forza delle attenuanti e calcolando gli sconti legati ai
riti alternativi) è possibile che egli spedisca a casa dell’imputato un decreto
di condanna in cui indica la pena e la converte automaticamente in una pena
pecuniaria di qualche milione. Se l’imputato paga, tutto finisce lì, più o meno
come se si trattasse di una multa e in teoria non serve neanche l’avvocato.
Tuttavia l’imputato entro un certo termine può opporsi alla condanna sia per
ottenere un processo vero e proprio sia per chiedere di calcolare diversamente
l’ammontare della pena pecuniaria. In questi casi sarà però necessario un
avvocato (d’ufficio o di fiducia, ma in ogni caso va pagato, salvo che si sia
così poveri da poter essere ammessi al gratuito patrocinio). La pena pecuniaria
viene calcolata moltiplicando ogni giorno di pena per 75mila lire, ma in
relazione alle condizioni economiche del condannato attraverso l’opposizione al
decreto è possibile ottenere una riduzione o una rateazione del pagamento.
Tuttavia se l’imputato è ricco può anche essere disposto un aumento della pena
pecuniaria. Diversi obiettori totali hanno ricevuto un decreto penale di
condanna che li invitava a pagare 6.750.000 lire. Trattandosi pur sempre di una
condanna penale dovrebbe però restare qualche traccia nell’eventualità di un
futuro reato del condannato.
Il cosiddetto
patteggiamento (o applicazione della pena su richiesta delle
parti) si ha quando l’avvocato
ed il pubblico ministero si mettono d’accordo su quale debba essere la
pena per l’imputato. La pena calcolata sulla base delle varie circostanze
attenuanti ed aggravanti viene ridotta di un terzo. Ciò vuol dire che il minimo
della pena (6 mesi) viene quanto meno ridotto a 4 mesi, ma se poi sussistono
altre attenuanti queste comportano ulteriori riduzioni. Secondo la regola
generale se si scende sotto ai 3 mesi è possibile ottenere la conversione in
pena pecuniaria in ragione di 75mila lire al giorno (eventualmente riducibili).
La pena concordata tra avvocato e PM viene applicata dal giudice che ne valuta
la congruità. L’imputato ha diritto a chiedere il patteggiamento e qualora il PM
non dia il suo consenso il giudice valuterà le ragioni del suo rifiuto,
eventualmente disponendo alla fine del giudizio la stessa pena che si sarebbe
dovuta applicare col patteggiamento ingiustamente negato. Il vantaggio di questo
rito alternativo consiste, oltre che nella riduzione di pena, nel fatto che non
si è neppure condannati a pagare le spese processuali. Inoltre decorsi 5 anni il
reato si estingue se non ne sono stati commessi altri più o meno è come se non
fosse successo mai niente.
Il giudizio
abbreviato può essere richiesto dall’imputato e consente di risolvere
l’intero giudizio all’interno dell’udienza preliminare decidendolo “allo stato
degli atti”, cioè sulla base della documentazione raccolta nelle indagini
preliminari senza testimoni e senza un vero processo. Il vantaggio consiste
nella riduzione automatica di un terzo della pena.
Calcolando la riduzione di
un terzo dei vari riti alternativi ed il possibile riconoscimento delle
cosiddette circostanze attenuanti generiche (spesso concesse agli imputati
giovani ed incensurati) che consentono una ulteriore riduzione della pena (al
massimo di un altro terzo) non è difficile che l’obiettore totale ottenga una
pena inferiore ai 4 mesi e addirittura una conversione in pena pecuniaria (per
le pene sotto ai 3 mesi). In ogni caso se il condannato non ha precedenti penali
e se in futuro non commetterà altri reati anche la pena detentiva eventualmente
irrogata non dovrà scontarla in carcere né con pene sostitutive in quanto
dovrebbe poter ottenere la sospensione condizionale della
pena.
Se la pena irrogata è inferiore ai due anni (come sempre accade nel caso degli obiettori totali), se l’imputato non ha nessun precedente penale e se presumibilmente non commetterà altri reati, il giudice può concedere la “sospensione condizionale della pena”: la condanna resta in sospeso e non viene scontata ad alcune condizioni. Se nel corso dei cinque anni successivi il condannato evita di commettere nuovi reati anche il primo “si estingue”, cioè la condanna sparisce definitivamente ed è quasi come se non fosse mai successo niente. Se invece il condannato commette un altro reato egli viene processato per il nuovo reato e dovrà scontare la nuova condanna più la precedente che gli era stata sospesa. Tuttavia se il secondo reato non è molto grave e le due condanne sommate non superano i due anni esiste la possibilità di ottenere una sospensione anche della seconda pena. In tutta la vita si possono di norma avere al massimo soltanto due sospensioni della pena (ma in alcuni casi ci possono essere dei vantaggi se la prima pena era stata patteggiata). Anche per questi motivi il reato di chi rifiuti il servizio militare senza addurre motivi di coscienza (contrarietà all’uso delle armi) può avere conseguenze molto più pesanti: in questo caso la condanna non esonera l’obiettore che rischia di subire due o più processi.
Esiste un casellario penale
in cui sono registrate tutte le condanne di ogni persona. Il beneficio della
“non menzione” riguarda il certificato che può essere richiesto dal condannato
magari per darlo a qualche datore di lavoro o per qualche concorso, sul quale,
se è stata concessa la “non menzione”, non comparirà questa condanna. Questo
beneficio è concesso quasi automaticamente ai condannati giovani ed incensurati
che commettono reati minori. Ovviamente resta però qualche traccia della
condanna penale, destinata a riemergere se il condannato avesse di nuovo a che
fare con la giustizia. In molti casi non si chiedono più questi certificati ma
una semplice autocertificazione nella quale sarebbe però reato dichiarare il
falso.
Formalmente la legge prevede
che sia necessario essere in posizione regolare con gli obblighi di leva. La
sentenza di condanna esonera dagli obblighi di leva ma non sappiamo se questo
integri gli estremi della “regolarità” richiesta da quel vecchio articolo di
legge. Certamente l’obiettore non riceverà il foglio di congedo. Molti concorsi
richiedono delle autocertificazioni in ordine alla posizione riguardo agli
obblighi di leva e ai precedenti penali. Fare false dichiarazioni in queste
autocertificazioni è un reato, ma a seconda di come vengono formulate esse
potrebbero dare l’idea che il condannato sia in regola senza tuttavia dire il
falso. Non siamo in grado di sapere quali saranno gli effetti di queste condanne
penali circa i pubblici concorsi: le renderemo note quando ne avremo notizia. Né
giusta Né utile comunque lotterà per cancellare ogni effetto, proprio per questo
quelli tra noi che hanno scelto l’obiezione totale non temono le possibili
conseguenze del loro gesto.
Gli avvocati sono tenuti a
far pagare degli onorari stabiliti nell’ammontare minimo e massimo dal loro
Ordine professionale. Esistono però avvocati più o meno costosi. Per un
patteggiamento ad esempio un giovane avvocato ci ha chiesto circa un milione ma
magari la si può spuntare con meno visto che è un reato semplicissimo da
giudicare. Viceversa avvocati più affermati chiedono onorari più alti. Gli
avvocati che collaborano con associazioni che si occupano di obiettori in genere
fanno prezzi più accessibili. Alcuni dei nostri procedimenti penali saranno
costosi perché vogliamo un processo vero e proprio: se volete sostenerci ogni
contributo sarà apprezzato.
Nessun problema: possiamo cancellare in qualunque momento il reato e la condanna. I tempi di questi processi sono lunghissimi, spesso ci vuole un anno prima che arrivi qualche notizia dall’autorità giudiziaria. In teoria chiunque può farlo ma noi non abbiamo intenzione di cambiare idea. Ma se per ipotesi non ci piacesse la pena o se cambiassimo opinione potremmo in qualunque momento chiedere di essere (ri)ammessi al servizio civile e l’accoglimento (scontato) della domanda estinguerebbe il nostro reato cancellando tutto il procedimento penale. Poi dopo un po’ ci arriverebbe una nuova cartolina ma nel frattempo avremo comunque continuato a studiare, cercare lavoro, lavorare, vivere. In questo periodo non è da escludere che abbiamo maturato le condizioni per l’esonero o la dispensa, così potremmo ottenerla. Oppure potremmo sperare di finire in esubero perché ci sono troppi obiettori e pochi posti dove far svolgere il servizio civile. O alla fine potremmo nuovamente decidere di rifiutare di fare il servizio di leva ed avviare un nuovo procedimento penale, magari in una sede diversa, con un PM diverso e giudici meno severi. Nulla in teoria impedisce che questo ciclo si ripeta all’infinito fino a quando saremo troppo vecchi per essere chiamati a prestare servizio di leva (45 anni). E’ possibile anche chiedere di essere riammessi al servizio militare per quelli di noi che non avevano ancora fatto domanda per il servizio civile: in questo caso però se faremo così ci precluderemo la possibilità di dichiararci obiettori di coscienza per due anni. Tuttavia siamo determinati ad andare fino in fondo nella nostra scelta.
A nostro giudizio la
nuova frontiera dell’obiezione di coscienza è l’obiezione totale
e per questo chiediamo di non essere additati come anarchici, testimoni di
Geova, sovversivi o furbacchioni. Non siamo niente di tutto ciò, ma semplici
cittadini impegnati in una battaglia per i diritti civili e per la libertà di
tutti, nel rispetto delle istituzioni e del Diritto. 30 anni fa la battaglia
degli obiettori voleva impedire che l’individuo contrario alle armi fosse
obbligato a svolgere il servizio militare: era una soluzione individuale
che ormai non è più soddisfacente. Oggi i nuovi obiettori di coscienza chiedono
di più: vogliono che lo stato smetta di chiamare alle armi tutti i suoi
cittadini perché si tratta di un obbligo inutile, anacronistico ed ingiusto. La
vera libertà di coscienza è che chi vuol fare il servizio militare lo fa, chi
non vuole non lo fa. E così anche il “volontariato” del servizio civile è una
cosa nobile solo a condizione che sia svolto liberamente, senza la
minaccia di sanzioni o di procedimenti penali. L’obiezione totale è un reato e
non consigliamo a nessuno di commetterlo: si tratta di scelte personali che
ciascuno compie in ossequio alla propria coscienza. Ma invitiamo tutti a
sostenere la nostra battaglia con i mezzi che la legge e la coscienza gli
consentono di utilizzare. Vogliamo cancellare la leva obbligatoria dalla storia
dell’umanità.
Finché gli obiettori di
coscienza si faranno raggirare con il servizio civile (obbligatorio) esisterà la
coscrizione militare. Rivolgiamo un appello alle associazioni di obiettori di
coscienza affinché la smettano di gestire il servizio civile e comprendano che
la nuova battaglia per la libertà di coscienza è quella per l’abolizione del
servizio di leva. Anche ai pacifisti tradizionali chiediamo di riflettere sul
profondo cambiamento delle prospettive: l’imposizione della leva ai giovani e
della galera agli obiettori non è certo il modo di combattere il militarismo e
favorire la pace. L’abolizione della leva in Italia e nel mondo è la migliore
garanzia per prevenire gravi conflitti di massa che sconvolgono l’intera società
strappando tutti i cittadini alla loro vita civile. La leva militare offre ed ha
sempre offerto agli stati carne da macello gratis per le loro sanguinose guerre:
abbiamo il dovere morale di impedire che altri individui possano essere
sottratti alle loro esistenze e costretti a combattere. Le preoccupazioni sul
controllo democratico delle Forze armate non possono essere risolte attraverso
la leva militare: la presenza di militari di leva non ha mai impedito i colpi di
stato in America latina, né le guerre mondiali, né l’Olocausto, né i conflitti
nel Terzo mondo. E’ ancora utopico pensare di abolire gli eserciti, ma è
possibile controllarli, ed è possibile abolire subito la coscrizione. Gli
strumenti di controllo sul mondo militare e di prevenzione dei conflitti devono
essere ben altri, di tipo istituzionale, giuridico e politico, ma non potremo
mai parlare di pace finché riconosciamo agli stati il diritto di prelevare i
cittadini dalle loro esistenze per costringerli a svolgere il servizio di
leva.