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MOVIMENTO PER L'ABOLIZIONE DELLA LEVA OBBLIGATORIA MILITARE E CIVILE |
Sulla formazione....
Ho chiesto di svolgere il servizio civile nella Caritas soprattutto per ragioni pratiche ma anche perché speravo di poter rendermi utile facendo, come suol dirsi,"di necessità virtù". Capirete tuttavia come già in questa affermazione siano impliciti limiti e ambiguità, tanto del mio caso specifico quanto di un intero fenomeno. Mi riferisco al servizio civile sostitutivo e al modo in cui viene gestito e concepito.
La Caritas si è impegnata a ritagliare per i suoi obiettori ambiti di impiego socialmente utili, profittevoli per la loro crescita interiore (affidata anche a un piano formativo teorico sui principali temi riguardanti l'obiezione di coscienza), funzionali alla promozione dei valori della solidarietà e del volontariato tra i giovani. Ho letto sull'argomento un articolo di Giuseppe Pasini e vorrei segnalarne alcuni passaggi: (...) il servizio degli obiettori di coscienza, che costituisce il "si" alla vita, alla solidarietà, alla pace, include tra le sue caratteristiche anche quelle che un genuino servizio di volontariato comporta. (...) L'obiettore non accumula ricchezze nel periodo del servizio civile. Ma al di là del guadagno egli fa suo lo stile di gratuità e disinteresse proprio del volontario”.
Ora vorrei sapere di che obiettore sta parlando. Quello che conosco io potrà pure svolgere il suo servizio in modo disinteressato (nel senso però che non gliene può importare di meno) ma non lo fa per scelta (quel "si alla solidarietà" mi sembra un pò forzato), a meno che si consideri un'alternativa allettante la reclusione da 6 mesi a 2 anni, e a essere pignoli non lo fa neppure gratuitamente visto che, pur non accumulando ricchezze, percepisce un indennizzo economico dallo stato: quella paga militare che da sola lo rende più equiparabile al soldato di leva (entrambi sono infatti "al soldo" dello stato) che alla figura di volontario cui Pasini fa riferimento e di cui tesse l'elogio. Di per se, vi assicuro, è già abbastanza imbarazzante doversi dichiarare "contrario in ogni circostanza" (compresa quindi l'autodifesa o la difesa altrui da una ingiusta aggressione) all'uso personale delle armi (quali armi poi? Anche un coltello da cucina è potenzialmente un'arma) per poter essere esonerato dal servizio militare, come non esistessero altri validi motivi per rifiutarsi di indossare la divisa del nostro esercito. Ma è a dir poco velleitario attribuire all'obiettore, oltre che un' "eroica" adesione alla nonviolenza più integralista, una sincera vocazione missionaria rivolta al prossimo.
Il mio sospetto comunque è che dietro l'insistita indicazione del volontariato a modello di un autentico servizio civile, si nasconda di fatto una tendenza opposta. Per rendersene conto basterebbe ricordare alcune delle ipotesi avanzate durante la Conferenza nazionale di Foligno sul volontariato, come il sovvenzionamento pubblico degli enti non-profit, la loro partecipazione alla concertazione tra governo sindacati e imprese (cosa di per sé inquietante perché non si capisce che tipo di interessi economici vogliano rappresentare) e, soprattutto, l'istituzione di un servizio civile obbligatorio per donne e riformati (!) che, comunque si voglia chiamare ("l'anno di volontariato sociale" o "i 10 mesi della solidarietà") è la perfetta negazione del volontariato e l'ennesima dimostrazione di come il "terzo settore" stia rischiando (o peggio tentando) di diventare a tutti gli effetti "parastato".
C'è poi la questione delle conseguenze socio-economiche del servizio civile sostitutivo, legata alle modalità strutturali del servizio stesso.
Pasini scrive: (...) con il termine "civile" passano iniziative che costituiscono un servizio sociale, riconosciuto e riconoscibile da tutti, cioè valido oggettivamente. (...) Lo stato ha ripiegato verso la convenzione con enti, riconosciuti portatori di interessi e di benefici pubblici.
Lo spirito della legge sembra comunque essere questo: il servizio non viene concesso a beneficio dell'ente convenzionato ma a beneficio della società nel suo insieme: l'ente convenzionato ne è solo il canale riconosciuto; tanto è vero che è proibito assumere obiettori in sostituzione di personale in pianta stabile. A parte la dubbia utilità sociale di questo tipo di convenzioni (che garanzia di efficienza può dare il servizio reso dagli obiettori?) è indubbio che assicuri un beneficio proprio agli enti convenzionati, alcuni dei quali potrebbero avvalersene per "contenere" il proprio personale integrandolo (visto che non possono sostituirlo) con manodopera gratuita (va tenuto in conto del resto che la crescente disponibilità di obiettori nei già vasti settori operativi legalmente riconosciutigli, costituisce verosimilmente un sensibile ostacolo alla creazione di nuove opportunità di impieghi remunerativi). Quanto alla Caritas, operandovi soprattutto volontari, potrà certamente chiamarsi fuori da simili sospetti, ma non negare di ricevere dallo stato, anche attraverso gli obiettori, un aiuto non indifferente. Il Centro di accoglienza per immigrati esteri di Ladispoli, nei mesi in cui vi ho prestato servizio, ha potuto contare sulla disponibilità di 5 obiettori (me compreso). Se non ci fossimo stati, l'unico operatore "a tempo pieno", un ragazzo senegalese immigrato per motivi di studio e ospitato dal Centro, avrebbe probabilmente ottenuto un compenso più adeguato per il lavoro svoltovi, che in nessun caso sarebbe stato possibile considerare "superfluo". Mi si dirà: "la Caritas non è un ufficio di collocamento"; giusto, a patto di non giustificare al suo interno situazioni di sfruttamento. Né si dovrebbe scordare che a volte le buone intenzioni non bastano. Che senso ha, per esempio, dislocare ancora obiettori alla Casa Famiglia Padre Monti quando un primo esperimento, atto a vagliarne l'opportunità, aveva dato esiti deludenti? Il fatto che la Caritas non possa attenersi unicamente a criteri efficientistici per le proprie scelte, non dovrebbe precluderne la razionalità. Inoltre, l' "efficienza" potrà pure sembrare una cosa antipatica ma almeno ha un senso. L'illogicità è sempre sospetta.
Prima di concludere consentitemi di citare un'ultima volta l'ottimo Pasini:
"È buona cosa che l'obiettore tenga normali rapporti e collabori con la L.O.C. e con altri organismi di propaganda nonviolenta e di impegno per la pace (Pax Christi, M.I.R., ecc...). È in questi spazi che l'obiettore potrà sviluppare maggiormente il suo impegno "politico" per la pace. La Caritas infatti, con la sua caratterizzazione pastorale, non può essere il luogo in cui sviluppare impegni e campagne tipicamente politiche... "
Si sappia allora che:
- nei campi scuola per obiettori organizzati periodicamente a Fiuggi dal Settore Educazione alla Pace e alla Mondialità della Caritas Diocesana di Roma, temi come l'antimilitarismo, diritti umani e giustizia sociale, pace e nonviolenza, rapporti tra Nord e Sud del mondo, sono puntualmente strumentalizzati (quando non trascurati) dai relatori invitati (tutti "politicizzati" e tutti della stessa "fede") per veicolare quel genere di analisi socio-economiche (allucinanti) facenti capo all'ideologia così detta "cattocomunista" (legittimo ma è propaganda politica);
- nelle note storico biografiche distribuiteci sull'obiezione di coscienza e i suoi protagonisti in Italia c'è posto per tutti tranne che per i radicali che pure ottennero, con le loro iniziative nonviolente (come l'incarcerazione di Roberto Cicciomessere, i digiuni di Marco Pannella, primo presidente della L.O.C., e moltissimi altri), le prime fondamentali conquiste, alcune delle quali nemmeno citate (omissione comprensibile, visto che ancora oggi Chiesa e "pannelliani" sono divisi su questo argomento, ma neppure tanto legittima).
A Fiuggi mi sorprese soltanto che uno dei relatori (non ricordo se Raniero La Valle o Marco Tamborini) si dichiarasse favorevole all'obbligo della leva militare "grazie alla quale" disse, "negli U.S.A. potè formarsi, in occasione dell'intervento nel Vietnam, quel movimento pacifista di contestazione che coinvolse anche l'Europa". La sorpresa di allora ha ceduto il posto a una certezza di oggi. Una larga convergenza di interessi unisce in Italia chi per motivi ideologici difende l'attuale modello di esercito (più facilmente asservibile al "provincialismo" della nostra politica estera) a chi, ben conscio della inevitabilità di una sua riforma in senso professionale, cerca comunque di ritardarne il processo convertendo gradualmente l'obbligo di leva militare in quello di un servizio civile esteso a tutti i cittadini e rispondente a una nuova interpretazione del dettato costituzionale (la dove, all'art. 52, pur sancendo per ogni cittadino il "sacro" dovere di difendere la patria, non discrimina sul sesso né fa esplicito riferimento a una difesa armata).
A continuo vantaggio delle mangiatoie statali e parastatali, e alla faccia della nostra libertà.
Simone Di Nenno
Né Giusta Né Utile | E-mail: abolisci-leva@ngnu.org | |||
Movimento per l'abolizone della leva obbligatoria |